Ciao a tutti,
posto come promesso una breve sintesi che ho scritto del testo di Caillé, Il Terzo Paradigma, che può essere utile al gruppo che lavora sulla RETE ( ancora non avete comunicato la decisione in merito al vostro nome/tag )per articolare il lavoro di ricerca.
L'autore si interroga sulle condizioni di possibilità dell'azione sociale a partire da una critica serrata del paradigma olistico e di quello fondato sull'individualismo metodologico. Secondo l'autore questi due paradigmi tentano di spiegare unilateralmente la genesi dei rapporti sociali: il secondo facendola derivare dalle decisioni e dai calcoli individuali; il primo dall'influenza della totalità sociale.
Nel tentativo di superare la dicotomia istutita da questi due paradigmi ( sociale/individuale - società/individuo), ed altre a questa strettamente correlati, l'autore propone un terzo paradigma fondato sulla nozione di dono, ovvero sul triplice obbligo di donare ricevere e ricambiare, formulata da M. Mauss nel suo Essai sur le don.
Il dono, in quanto performatore per eccellenza delle alleanze, è ciò che secondo Caillé, spiegherebbe il legame sociale.
" Allaciando rapporti resi determinati dagli obblighi che contraggono con l'allearsi e il donarsi gli uni con gli altri, assoggettandosi alla legge dei simboli che creano e fanno circolare, gli uomini producono simultaneamente la loro individualità, la loro comunità e l'insieme sociale in seno al quale si dispiega la loro rivalità" [pag.48].
L'interesse della proposta di Caillé, in riferimento al nostro lavoro, risiede a mio parere nell'accento che l'autore pone sulla prassi dei legami sociali e sull'invito a ragionare nei termini di interazionismo del dono. Se si considera il dono, DAL PUNTO DI VISTA degli attori sociali, è possibile porre al centro dell'attenzione ( FOCUS) l'interazione concreta tra i soggetti; ovvero il farsi delle relazioni prodotte e presupposte ( ma anche interrotte e/o riformulate) nelle "modalità d'uso" ( DECerteau) del/dei social network/s.
Un prima questione potrebbe essere posta in questi termini:
- quali sono le risorse che circolano (sia in termini materiali che simbolici) tra i membri della rete? = ambito di riflessione ed elementi dinamici delle relazioni
L'invito di Caillé a non ridurre l'azione sociale ad un'istanza ultima, astorica ed atemporale, sia questa il calcolo individuale o l'obbligo derivante da una totalità preesistente, ma di pensarla piuttosto attraverso la nozione di dono, apre lo sguardo ad altre fonti dell'azione umana quali sono quelle, ad esempio, del piacere e della spontaneità.
Una seconda questione si pone a mio parere in riferimeno alla legittimità o meno di considerare le azioni sociali attraverso il social network come doni.
Caillé definisce il dono come prestazione effettuata senza attesa di restituzione determinata. L'accettazione di una mancanza di reciprocità sarebbe, secondo l'autore, l'elemento comune ad altre e più ristrette definizioni del dono che lo finalizzavano alla creazione del legame sociale e ne limitavano la portata alla prestazione di beni e servizi.
Non si danno solo beni e servizi, scrive Caillé, ma anche parole, feste, conferenze, impressioni, colpi, amore, odio, la vita e la morte.
Notiamo qui come tra i doni possibili possiamo trovare molte delle risorse materiali e simboliche che circolano attraverso i social networks.
Una terza questione utile all'analisi è quindi relativa al significato ed alla forma del dono: cosa doniamo, per esempio, quando inviamo a un soggetto una richiesta di amicizia? e quando la accettiamo?
Per ora direi che questi spunti mi sembrano più che sufficenti per avviare una proficua discussione ed un buon orientamento all'analisi del gruppo RETE.
Se riesco posterò più tardi le riflessioni generali - questioni - affrontate a lezione in riferimento all'utilizzo di alcuni spunti dell'opera di Gramsci per un'analisi antropologica dei media in questione.
Sara Bramani
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giovedì 11 novembre 2010
lunedì 19 aprile 2010
relazioni ed eventi, online e offline e consiglio bibliografico
Grazie a tutti (tutte anzi) per i post che sono sempre stimolanti. Provo qui a tirare un poco le fila di alcune suggestioni, senza pretesa di essere esaustivo (anche perché a quest'ora essere esaustivo sarebbe proprio dura).
1. Sara B. e Carlotta affrontano due questioni complementari. La prima il passaggio delle relazioni sociali individuali dal web alla "vita reale" (cito, ma dico subito che non mi piace l'espressione, come se stare davanti al pc a chattare o postare su Fb non fosse vita reale; preferisco l'opposizione online/offline per distinguere i due momenti di interazione, che sono parimenti reali, per come la vedo io), mentre Carlotta si pone la questione collettiva degli eventi, sempre nel loro passaggio on- off-line. Su questo ho provato a ragionare proprio da poco e su buzz è uscita una microdiscussione che può dare qualche contributo. In sostanza, il punto forte della mia argomentazione è che dentro i SN ci mettiamo un sacco di investimento emotivo, ma non è ben chiara (almeno a me) la natura di questo investimento, che chiamiamo "amicizia" ma amicizia non è, che ci fa stare male quando si scolla troppo tra on- e off-line (quando quel che succede online in termini di partecipazione non riesce a riprodursi con intensità comparabile offline) e che insomma non ha ancora un nome sociale, dato che si tratta di uno stato d'animo direi nuovo. Un conto è avere un progetto e non vederlo realizzato (frustrazione), un conto è avere degli amici e sentirsi traditi (delusione) ma non sappiamo ancora come nominare un "progetto di relazione" che a me sembra un modo utile di definire i SN. I miei 500 amici su Fb sono in buona parte delle crisalidi, degli embrioni, delle potenzialità (o almeno, io da qualche parte dentro di me li vedo in questo modo) e le proposte di travaso offline sono il tentativo di verificare (o la speranza di confermare) quella "disposizione all'amicizia" (dispositio in senso proprio aristotelico-tomista, una sorta di precondizione, di orientamento generale per poter ipotizzare un'attività). Si tratta, mi pare, di una forma di relazione sostanzialmente nuova. Finora, i "conoscenti" erano tali non solo per il limitato coinvolgimento emotivo con cui li trattavamo, ma anche per la limitata strumentazione di comunicazione nei loro confronti: di un conoscente non si aveva il telefono o l'indirizzo ed entrarci in contatto voleva dire trovare un mediatore. Adesso, con Fb e i SN in generale, possiamo comunicare immediatamente e intimamente con dei conoscenti come fino a poco fa facevamo solo con gli amici, e questo secondo me produce diversi scompensi emotivi che andrebbero indagati secondo questa linea di ricerca, sia nella relazione diadica o personale (come mi pare interessi a Sara B.) sia nella sua dimensione collettiva (Carlotta).
2. Sullo shadowing non ho riferimenti bibliografici oltre a quello utilissimamente commentato da Alessandra Checchetto, ma mi sento di suggerire una lettura più generale sulla ricerca sul campo perché affronta molti dei temi che stiamo dibattendo (interferenza dell'osservatore, realtà della rappresentazione etnografica, produzione del dato vs perdita del dato per calo di attenzione) anche se lo fa senza alcun riferimento ai SN o all'antropologia visuale (anzi, è un po' attardato a descrivere un mondo "prima dei media" direi). Si tratta di
Jean Pierre Olivier de Sardan (il cognome è Olivier de Sardan), La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia, originariamente pubblicato nel 1995 in francese, di cui ora esiste un'ottima traduzione in Francesca Cappelleto (a cura di), Vivece l'etnografia, Firenze, Seid, 2009, pp.27-63. Si tratta di un testo densissimo ma che riesce a dar conto di un sacco di questioni teoriche e pratiche della ricerca sul campo, molte delle quali potrebbero interessare quante si apprestano a partire con le loro ricerche etnografiche. E' meritorio lo sforzo di sistematizzare una metodologia per certi versi inafferrabile, senza ridurla a ridicoli tecnicismi e senza occultarla dietro un alone quasi misticheggiante. Oltre a insistere sulla "politica del terreno", mettendo in luce l'interazione tra l'etnografo e la complessità sociale del gruppo che studia (forse meno interessante per noi che per ora ci limitiamo a studiare a fondo pochi soggetti percepiti come individui), il saggio è illuminante nel modo in cui descrive in dettaglio le quattro fonti dei dati antropologici, vale a dire: 1. osservazione partecipante; 2) colloqui; 3) censimenti e 4) fonti scritte. Io credo che una lettura almeno di questa parte potrebbe essere molto utile a tutti per la metodologia, dato che molte delle domande che ci stiamo facendo trovano in questa ripartizione delle modalità di raccolta dei dati diverse proposte di risposta interessanti.
1. Sara B. e Carlotta affrontano due questioni complementari. La prima il passaggio delle relazioni sociali individuali dal web alla "vita reale" (cito, ma dico subito che non mi piace l'espressione, come se stare davanti al pc a chattare o postare su Fb non fosse vita reale; preferisco l'opposizione online/offline per distinguere i due momenti di interazione, che sono parimenti reali, per come la vedo io), mentre Carlotta si pone la questione collettiva degli eventi, sempre nel loro passaggio on- off-line. Su questo ho provato a ragionare proprio da poco e su buzz è uscita una microdiscussione che può dare qualche contributo. In sostanza, il punto forte della mia argomentazione è che dentro i SN ci mettiamo un sacco di investimento emotivo, ma non è ben chiara (almeno a me) la natura di questo investimento, che chiamiamo "amicizia" ma amicizia non è, che ci fa stare male quando si scolla troppo tra on- e off-line (quando quel che succede online in termini di partecipazione non riesce a riprodursi con intensità comparabile offline) e che insomma non ha ancora un nome sociale, dato che si tratta di uno stato d'animo direi nuovo. Un conto è avere un progetto e non vederlo realizzato (frustrazione), un conto è avere degli amici e sentirsi traditi (delusione) ma non sappiamo ancora come nominare un "progetto di relazione" che a me sembra un modo utile di definire i SN. I miei 500 amici su Fb sono in buona parte delle crisalidi, degli embrioni, delle potenzialità (o almeno, io da qualche parte dentro di me li vedo in questo modo) e le proposte di travaso offline sono il tentativo di verificare (o la speranza di confermare) quella "disposizione all'amicizia" (dispositio in senso proprio aristotelico-tomista, una sorta di precondizione, di orientamento generale per poter ipotizzare un'attività). Si tratta, mi pare, di una forma di relazione sostanzialmente nuova. Finora, i "conoscenti" erano tali non solo per il limitato coinvolgimento emotivo con cui li trattavamo, ma anche per la limitata strumentazione di comunicazione nei loro confronti: di un conoscente non si aveva il telefono o l'indirizzo ed entrarci in contatto voleva dire trovare un mediatore. Adesso, con Fb e i SN in generale, possiamo comunicare immediatamente e intimamente con dei conoscenti come fino a poco fa facevamo solo con gli amici, e questo secondo me produce diversi scompensi emotivi che andrebbero indagati secondo questa linea di ricerca, sia nella relazione diadica o personale (come mi pare interessi a Sara B.) sia nella sua dimensione collettiva (Carlotta).
2. Sullo shadowing non ho riferimenti bibliografici oltre a quello utilissimamente commentato da Alessandra Checchetto, ma mi sento di suggerire una lettura più generale sulla ricerca sul campo perché affronta molti dei temi che stiamo dibattendo (interferenza dell'osservatore, realtà della rappresentazione etnografica, produzione del dato vs perdita del dato per calo di attenzione) anche se lo fa senza alcun riferimento ai SN o all'antropologia visuale (anzi, è un po' attardato a descrivere un mondo "prima dei media" direi). Si tratta di
Jean Pierre Olivier de Sardan (il cognome è Olivier de Sardan), La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia, originariamente pubblicato nel 1995 in francese, di cui ora esiste un'ottima traduzione in Francesca Cappelleto (a cura di), Vivece l'etnografia, Firenze, Seid, 2009, pp.27-63. Si tratta di un testo densissimo ma che riesce a dar conto di un sacco di questioni teoriche e pratiche della ricerca sul campo, molte delle quali potrebbero interessare quante si apprestano a partire con le loro ricerche etnografiche. E' meritorio lo sforzo di sistematizzare una metodologia per certi versi inafferrabile, senza ridurla a ridicoli tecnicismi e senza occultarla dietro un alone quasi misticheggiante. Oltre a insistere sulla "politica del terreno", mettendo in luce l'interazione tra l'etnografo e la complessità sociale del gruppo che studia (forse meno interessante per noi che per ora ci limitiamo a studiare a fondo pochi soggetti percepiti come individui), il saggio è illuminante nel modo in cui descrive in dettaglio le quattro fonti dei dati antropologici, vale a dire: 1. osservazione partecipante; 2) colloqui; 3) censimenti e 4) fonti scritte. Io credo che una lettura almeno di questa parte potrebbe essere molto utile a tutti per la metodologia, dato che molte delle domande che ci stiamo facendo trovano in questa ripartizione delle modalità di raccolta dei dati diverse proposte di risposta interessanti.
sabato 17 aprile 2010
Shadowing
Buongiorno a tutti,
visto che ci è stata offerta la possibilità di effettuare la rilevazione secondo la tecnica dello shadowing e io sono una delle osservatrici, chiederei di condividere in questo spazio qualche riferimento teorico alla tecnica stessa. Per esempio io ho avuto l'occasione di studiare il testo di Marianella Sclavi, che insegna Antropologia Culturale al Politecnico di Milano. Il libro si intitola:
'A una spanna da terra. Indagine comparativa su una giornata di scuola negli Stati Uniti e in Italia e i fondamenti di una "metodologia umoristica"'.
in questo testo l'autrice racconta la sua esperienza in qualità di osservatrice, secondo la tecnica dello shadowing, condotta in alcune giornate di studio in due scuole superiori: una di New York e l'altra di Roma.
Ciò che mi è sembrato particolarmente interessante è stata la metodologia umoristica applicata all'osservazione: ha approfittato di tutti gli scarti, le incongruenze, i momenti di imbarazzo e le difficoltà comunicative (di codifica e decodifica potremmo dire) per farne momenti privilegiati di osservazione, in quanto sono proprio questi momenti a rivelarci le cornici culturali nelle quali siamo inseriti e in base alle quali tendiamo a giudicare gli eventi e ad operare cognitivamente. Se non riusciamo a prendere coscienza di queste matrici, la nostra osservazione non può che essere inconsapevolmente viziata. Io credo che anche noi, nel condurre la nostra ricerca etnografica, partiamo con dei pre-giudizi culturali nei confronti dei s.n. che sicuramente stanno già influenzando la qualità del dibattito che conduciamo in classe e sul blog. Sarebbe interessante svelarli e magari farne occasione per una privilegiata prospettiva di osservazione. Mi piacerebbe leggere altre opinioni e riferimenti teroici sullo shadowing da parte vostra.
Grazie
visto che ci è stata offerta la possibilità di effettuare la rilevazione secondo la tecnica dello shadowing e io sono una delle osservatrici, chiederei di condividere in questo spazio qualche riferimento teorico alla tecnica stessa. Per esempio io ho avuto l'occasione di studiare il testo di Marianella Sclavi, che insegna Antropologia Culturale al Politecnico di Milano. Il libro si intitola:
'A una spanna da terra. Indagine comparativa su una giornata di scuola negli Stati Uniti e in Italia e i fondamenti di una "metodologia umoristica"'.
in questo testo l'autrice racconta la sua esperienza in qualità di osservatrice, secondo la tecnica dello shadowing, condotta in alcune giornate di studio in due scuole superiori: una di New York e l'altra di Roma.
Ciò che mi è sembrato particolarmente interessante è stata la metodologia umoristica applicata all'osservazione: ha approfittato di tutti gli scarti, le incongruenze, i momenti di imbarazzo e le difficoltà comunicative (di codifica e decodifica potremmo dire) per farne momenti privilegiati di osservazione, in quanto sono proprio questi momenti a rivelarci le cornici culturali nelle quali siamo inseriti e in base alle quali tendiamo a giudicare gli eventi e ad operare cognitivamente. Se non riusciamo a prendere coscienza di queste matrici, la nostra osservazione non può che essere inconsapevolmente viziata. Io credo che anche noi, nel condurre la nostra ricerca etnografica, partiamo con dei pre-giudizi culturali nei confronti dei s.n. che sicuramente stanno già influenzando la qualità del dibattito che conduciamo in classe e sul blog. Sarebbe interessante svelarli e magari farne occasione per una privilegiata prospettiva di osservazione. Mi piacerebbe leggere altre opinioni e riferimenti teroici sullo shadowing da parte vostra.
Grazie
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mercoledì 14 aprile 2010
Discussione su Facebook
Visto che Sara ha segnalato una serie di temi di discussione, mi sento di poter contribuire segnalando alcuni post che ho pubblicato sul mio blog più o meno nell'ultimo anno. Qui ci sono i post taggati "facebook", mentre questi sono quelli taggati "social network". Non tutti sono utili, ma credo che alcuni possano aprire un poco la discussione o suscitare ulteriori domande. Ricordo poi a tutti che la letteratura sui social network è già molto vasta, ma ha il vantaggio di essere postata in forme social, per cui si trova quasi tutto. La guru di riferimento è danah boyd che aggiorna regolarmente la sua pagina di bibliografia. Forse l'ho già detto, ma repetita juvant.
Se qualcuno legge i miei post, tenga conto che sono scritti con uno stile da blogger, non certo accademico...
Se qualcuno legge i miei post, tenga conto che sono scritti con uno stile da blogger, non certo accademico...
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