domenica 19 dicembre 2010

corpi elettivi-cinema

In riferimento al post che Dalila ha pubblicato il 16 dicembre, riporto l'esempio di un' intervista effettuata a un gruppo di ragazzi dopo la visione del film "The social network". Gli intervistati raccontano la loro esperienza d'uso, anche paragonata a comportamenti che hanno notato all'interno del proprio network.


sabato 18 dicembre 2010

rete e legami sociali

La micro-etnografia del gruppo rete e legami sociali si basa sul concetto di amicizia nei Social Networks, in particolare in Facebook. Innanzitutto, dopo un prolifico brainstorming, ci siamo chiesti cosa fosse l'amicizia in termini generali (una domanda già di per sè complicata) e successivamente abbiamo cercato di lavorare sul nuovo concetto di amicizia virtuale.
Dopo la lettura dell'introduzione di Marco Aime al Saggio sul dono di M. Mauss abbiamo posto maggiormente l'attenzione al concetto di amicizia come dono: si tratta di un bene da ricambiare? e in questo caso, l'accettare l'amicizia si può già considerare un controdono?
Abbiamo iniziato a fare delle interviste a conoscenti e sconosciuti su cosa intendessero per amicizia e se l'amicizia su un Social Network si potesse considerare tale; inoltre abbiamo chiesto agli intervistati quanti "amici" avessero su Facebook e di questi quanti ne frequentassero di persona.
Da queste interviste è emerso che nessuno degli intervistati considera vera amicizia quella su Facebook: amicizia è fiducia, è una relazione profonda basata su scambi veri, amicizia è qualità più che quantità. Inoltre, tutti confermano di considerare amici solo quelle persone che sono veri amici nella realtà, gli altri sono solo conoscenti, contatti che "fanno numero". Si accetta l'amicizia un po' di tutti, anche di persone conosciute per poche ore o addirittura di persone che non si conoscono, ma alla fine il legame con la realtà e la corporalità resta: gli unici contatti reali sono quelli che esistevano già nella quotidianità. Ma se dunque nessuno considera vera amicizia quella su Facebook, perchè comunque rimangono più "social" quelli con tanti amici?
Emerge quindi un problema lessicale: essendoci vari gradi di amicizia, sia nella realtà che nel mondo virtuale, è fuorviante e ingannevole chiamare con un unico termine ogni nuovo contatto, soprattutto perchè amicizia significa reciprocità, attendere un controdono che ponga le basi per il dono successivo, cosa che in Facebook non succede. La totalità degli intervistati infatti conferma che non esistono norme di comportamento virtuale, ossia non ci si sente obbligati a rispondere a un post o a un link condiviso. I rapporti d'amicizia quindi diventano più frequenti ma meno profondi: aggiungere un amico su Facebook non significa averlo nella realtà, tranne che in pochi e fortunati casi. Per suggerire meglio quest'idea, oltre alla nostra ricerca sul campo, vogliamo aiutarci anche con video trovati sul web come A life on Facebook di Alex Droner e una significativa e ironica puntata di South Park sull'utilizzo di Facebook come rete che cattura e unisce, due aspetti indissolubilmente legati.


giovedì 16 dicembre 2010

corpi elettivi- cinema

Il gruppo cinema e pubblicità sviluppa il proprio lavoro intorno al tema dei "corpi elettivi". Esso si propone di indagare le rappresentazioni del corpo e l'utilizzo di tali rappresentazioni all'interno dell'ampio circolo delle nuove tecnologie.
La possibilità di creare un sé corporeo e caratteriale diverso, un alter ego in uno spazio temporale virtuale, è oggi una questione profondamente dibattuta .
Attraverso l'utilizzo di social network -il diffusissimo Facebook e non solo- questa possibilità è di fatto accessibile a chiunque e lascia emergere dinamiche che da sempre affascinano la produzione cinematografica: ridefinizione continua dei confini tra realtà-finzione, corpo-mente, oggetto-soggetto, etico-estetico.
Ai fini di questa indagine ci siamo serviti di una serie di film che, attraverso diverse prospettive, sviluppano tali dinamiche e descrivono il corpo come oggetto in trasformazione.
Tra questi il recentissimo "The Social Network" (diretto da D.Fincher e scritto da A.Sorkin, B.Mezrich). Il gruppo ha preso diretta visione del film per poter raccogliere una serie di interviste a caldo all'uscita del cinema. Le interviste prevedevano alcune domande di carattere generale e lasciavano ampio spazio allo spettatore-interlocutore di riflettere e discutere in maniera piuttosto libera e colloquiale. Sono emerse riflessioni metodologiche relative alla conduzione delle interviste (la scelta e gestione delle domande da proporre sono risultate poco strategiche e poco mirate ai fini del risultato) e ci hanno portato ad una problematizzazione dell'oggetto di ricerca e ad una ridefinizione del campo di analisi.
Oltre alla scelta ed al montaggio di produzioni cinematografiche, abbiamo così raccolto numerose brevi interviste della durata di 5 minuti ca, che potessero mettere in luce l'impressione ed il rapporto dei singoli all'utilizzo delle nuove tecnologie nel ripensare il proprio corpo.
L'elenco dei film considerati si è ristretto rispetto all'elenco avanzato inizialmente, illustrato in un nostro post di novembre. Il corpo di interviste invece sta maturando.


mercoledì 15 dicembre 2010

tutorial "emo"

Ciao a tutti, durante l'ultima lezione di laboratorio è stato consigliato ai diversi gruppi di esplicitare punto per punto le fasi di lavoro (idea di partenza/confronto con la pratica effettiva/riproblematizzazione dell'oggetto di ricerca/elenco dei materiali), il gruppo tutorial ha già parlato a lungo di queste fasi di lavoro e per noi era più utile iniziare a lavorare sui diversi materiali raccolti. In ogni caso vorrei esprimere alcune riflessioni a riguardo.

Nel nostro lavoro su campo, come novelli etnografi, abbiamo notato come sia sempre presente, nell'incontro con l'altro, un continuo riposizionamento dei soggetti e delle idee che permeano il discorso. Ci siamo accorti dell'impossibilità dell'utilizzo della tanto amata empatia malinowskiana, dei nostri limiti e dei nostri pregiudizi. Proprio questo, però, ci ha permesso un interessante lavoro riflessivo (qui è presente il passaggio dal tema iniziale al riposizionamento a seguito dei lavori su campo). Nelle interviste effettuate è evidente il movimento sintetizzato nell'idea di circolo ermeneutico e ci siamo accorti di non poter avere risultati e soluzioni univoche e perfettamente lineari ed esatte. I nostri interlocutori ci danno informazioni discordanti che presentano incongruenze e controsensi, questo ci ha un po'spiazzato all'inizio anche se poi da ciò siamo riusciti a trovare preziosi spunti di riflessione e di riproblemattizzazione del tema iniziale. Dopotutto anche se il paradigma positivista è ormai decaduto siamo comunque sempre stati abituati a pensare che qualcosa di pulito, esatto, senza incongruenze sia il massimo a cui puntare, che sia qualcosa di veramente scientifico, invece, ciò che è confuso, caotico è qualcosa di imperfetto. Noi ci siamo mossi da questa imperfezione cercando di problematizzare al massimo il nostro discorso anche se esistono limiti di tempo e spazio.

Tornando al gruppo "tutorial" con il lavoro finale vogliamo far emergere e rendere visibile la differenza tra due distinti livelli identitari: il livello di definizione identitaria endogena e il livello di definizione identitaria esogena. All'interno del primo livello è presente un'altra discrepanza tra chi definisce se stesso come EMO "autentico" e chi anche se esteticamente è associabile al gruppo degli EMO ritiene che non esista questo gruppo e che esso dipenda da gusti estetici superficiali.

Noi siamo partiti con alcuni pregiudizi e pensavamo al mondo EMO come qualcosa di omogeneo, riconoscibile e riconosciuto ma con le prime interviste ci siamo accorti delle infinite sfumature e differenze, infatti stiamo parlando di persone e non di computer, ognuno ha una propria individualità, carattere.

A questo punto vi elenco i materiali raccolti durante le nostre ricerche:

- intervista a tre ragazzi della durata di circa 40'

-intervista tramite videoconferenza skipe 

-intervista ad un passante

-intervista mandata in onda dal programma tv "Le Iene" sul mondo EMO

-reportage sugli EMO di Repubblica TV, MTV, invasioni barbariche

-tutorial su come diventare EMO

-parodie ai tutorial su come diventare EMO

-dialoghi/mail/chat con ragazzi EMO

Per il montaggio del video ci sono diverse idee e proposte, di sicuro ci sarà un gran finale a sorpresa!

Il nostro gruppo si è suddiviso dei compiti da portare a termine entro lunedì (visionare i materiali raccolti e segnare i punti forti), prossimamente si comincia con il montaggio che vorrà comunque esprimere in modo chiaro il concetto di fictio/finzione/costruzione.

martedì 14 dicembre 2010

Tra Italia,Egitto e Brasile

Un quarta intervista è stata fatta a Karima, cittadina italo-brasiliana sposata con un cittadino egiziano. Grazie alle nuove tecnologie riesce a vivere tra tre continenti e a mantenere i legami con tutti questi contesti di appartenenza. Lei predilige soprattutto l'utilizzo di Skype,sia per ragioni di semplicità d'uso che per ragioni economiche e non sente invece "attrazione" verso Msn e Facebook.In Brasile si tiene in contatto soprattutto con sua madre e nota che da quando comunica attraverso Internet e Skype non sente più quella grande nostalgia che provava prima quando comunicava solo attraverso il telefono. Ora è in grado di chiacchierare del più e del meno,non si limita alle cose essenziali,tanto che andando in Brasile sente di essere uscita dalla porta di casa sua per entrare subito a casa di sua madre e la sua percezione della dimensione spazio-temporale è decisamente cambiata dopo avere sperimentato l'utilizzo delle nuove tecnologie. Anche l'alta qualità di queste tecnologie,per esempio la nitidezza dell'immagine vista sul computer ha giocato un ruolo importante nella percezione dei rapporti interfamiliari:la nonna si commuove quando guarda il nipotino dalla web-cam e il bambino di due anni e mezzo sa che la nonna si trova nel computer.
La conclusione di Karima è che si sente gratificata dalla sua esperienza personale di interazione con le nuove tecnologie.

lunedì 13 dicembre 2010

Media e appartenenza

La nostra idea di partenza era quella di indagare il rapporto tra migranti, nuovi media e appartenenza come declinazione specifica del tema "spazio e tempo" in relazione ai social networks. All'inizio abbiamo pensato di rifarci al testo "La doppia assenza" di Sayad, ridefinendo la "doppia assenza" come "doppia appartenenza", ma ciò è risultato piuttosto complicato vista la vastità della tematica e visto che l'oggetto era ancora poco definito. Quindi abbiamo deciso di rifarci al concetto di "comunità immaginata" di Anderson e soprattutto al concetto di Appadurai di "comunità di sentimento" come "comunità immaginate a partire dalla fruizione collettiva dei mass media", in quanto secondo Appadurai "i media elettronici forniscono risorse per l'immaginazione del sè come un progetto sociale quotidiano".

Tenendo conto di questi riferimenti teorici abbiamo steso una scaletta per condurre delle interviste, che abbiamo pubblicato nel precedente post.

Abbiamo avuto alcuni problemi a reperire soggetti per le interviste perchè molte persone non volevano essere filmate e abbiamo dovuto superare delle resistenze anche da parte di coloro che poi hanno acconsentito ad essere intervistati. In un'intervista il fatto di essere ripreso ha condizionato molto il soggetto, tanto che ha voluto rifare più volte l'intervista, cambiando anche nelle varie versioni il contenuto della stessa. Questo ci ha fatto riflettere sulle ricadute emotive legate all'utilizzo del mezzo audiovisivo.

Con le varie interviste l'oggetto si è andato restringendo e definendo, arricchendosi di sfumature inaspettate come il tema dell'arte come mezzo di contatto con il proprio Paese d'origine.

La prima intervista è stata fatta ad una ragazza italo-egiziana di 22 anni, residente in Italia da due anni con la sua famiglia, al momento studentessa universitaria. I temi più interessanti che sono emersi sono stati l'utilizzo dei social networks appena arrivata in Italia come strumento per sentirsi ancora a casa e la loro successiva trasformazione sia in mezzo di contatto con il proprio paese d'origine, sia con i nuovi amici italiani, sia come mezzo per conoscere nuovi egiziani in Italia. Inoltre è emerso un modo specifico di utilizzare i social networks con gli arabofoni, per ovviare all'assenza di alcuni caratteri per traslitterare l'arabo.

La seconda intervista è stata fatta ad una donna argentina residente in Svizzera da circa vent'anni, che di professione fa la pittrice e tiene corsi di arte per bambini. I temi più interessanti che ne sono emersi sono stati l'arte come mezzo di contatto con il proprio paese, la discriminazione tra vari mezzi di comunicazione e il privilegiare il telefono in quanto mezzo di contatto più diretto e migliore per quanto riguarda la tutela della privacy. E' emersa quindi anche una differenza generazionale nell'utilizzo dei social networks.

Abbiamo fatto la terza intervista ad un ragazzo di origine egiziana di 18 anni, residente in Italia da due anni e mezzo, che al momento lavora come commesso in un negozio. I temi più interessanti emersi sono stati la differenza tra l'immagine del paese d'origine data dalla famiglia rimasta sul posto e quella trasmessa dai siti di informazione, e l'utilizzo del cellulare come strumento di accesso costante a internet e in particolare a facebook.

Inoltre è stata effettuata una quarta intervista che però non abbiamo ancora avuto modo di visionare e analizzare in gruppo.

venerdì 10 dicembre 2010

facebook: da oggetto di studio a strumento di conoscenza

Ciao a tutti amici di Facebook sto facendo una ricerca per l'università vi chiedo semplicemente di commentare liberamente questa nota grazie Emilia
pubblicata da Emilia Fortunato il giorno mercoledì 8 dicembre 2010 alle ore 10.37

“Rispondi a una richiesta di amicizia”; “Conferma” o “Ignora”.Inizia sempre così. In questo modo, nel mondo cibernetico del noto social-network, due persone stringono, per così dire, “amicizia”. Di suo proposito qualcuno decide di condividere con te foto, riflessioni, spezzoni della sua vita che ha per bene impacchettato in un profilo bianco e blu. Per fare in modo che tutto questo accada si deve solo scegliere “Conferma”. Basta un semplice click del mouse su quel rettangolino blu con quella scritta bianca in stampatello, tanto invitante, per catapultarti nella vita di una persona che magarinon sapevi prima nemmeno che esistesse. Nel mondo cibernetico sii accumula un enorme archivio di informazioni, anche personali, da divulgare senza paura agli “amici”: coloro che hanno cliccato su quell’allettante “Conferma”!.È vero che uno dei vantaggi di Facebook è quello di poter aprire pagine e di conseguenza discussioni su argomenti di impronta politica, etica e chi più ne ha più ne metta. E fino a qua il tutto non è per niente fine a se stesso.Lo diventa purtroppo quando si decide di dare a un sentimento (l’amicizia) così presente e così importante nella vita di ogni uomo un significato così ambiguo. Il sociologo Cameron Marlow ha avuto la bella iniziativa di pubblicare i risultati di uno studio condotto dal Facebook Data Team sulle dinamiche sociali degli utenti.Ogni profilo ha la possibilità di avere 50, 100 e anche 500 e passa amici. Con l’aiuto di 30 volontari e col passare dei giorni, Marlow notò come gli individui che avevano più di 500 amici interagivano, attraverso la chat o il commento di foto e link, con un numero di persone di gran lunga inferiore al totale di amici, ad esempio solo una decina. Le relazioni aumentavano col diminuire della somma complessiva degli amici. Si rimane così intrappolati dal mondo cibernetico, da dimenticarsi quanto più importante possa essere il rapporto umano. Il toccarsi, l’ascoltarsi e il capirsi proprio con uno sguardo! È quello che accade nell’Amicizia.No, si preferisce interessarsi alla situazione sentimentale o all’orientamento religioso di un profilo.Ci si intestardisce a voler postare uno stato della serie “sono un duro, non ho bisogno di te!”, piuttosto che risolvere qualunque sia il problema davanti a una calda tazza di caffè.Proprio la relazione, fino a prova contraria, dovrebbe essere il più grande mezzo dell’uomo per definirsi tale e non rimanere chiuso fra le pareti del pregiudizio e dell’indifferenza.E guarda caso Facebook non fa altro che far interagire con quella decina di persone che si incontrano normalmente nel corso della vita di tutti. Mentre quella miriade di persone che legge di altri, commenta i loro pensieri sono definiti amici solo in un modo ingannevole.È per questo facile cadere nella trappola e illudersi sul valore dell’amicizia nel contesto facebookiano, così da non capire nemmeno il grande impatto che può avere il contatto con l’altro.Ma niente paura! È allo stesso modo facile individuare l’Amicizia, quella vera, nata attraverso l’affetto e la relazione.

lunedì 6 dicembre 2010

Rappresentare come problema

Insieme alla lunga e interessante riflessione sul nostro oggetto di studio credo che noi come gruppo "tutorial" ci siamo costruiti un interessante percorso che potremmo dire tocca punti molto delicati e importanti del lavoro antropologico in questione.
La cotruzione di un pensiero sull'oggetto stesso della ricerca, il gruppo identitario dei giovani emo, fa parte di questo percorso. Si tratta di una realtà fatta di persone e di voci che si scontrano, si contraddicono e allo stesso tempo si affermano.
E poi c'è la riflessione più antropologica, la ricerca di uno sfondo teorico su cui appoggiare la realtà da noi incontrata. Quello che abbiamo riscontrato è un oggetto articolato e complesso dove individualità, collettività, social network e rappresentazioni (quali tutorial) si intrecciano nelle profondità del loro senso rendendo bene l'idea della dinamicità e della costruttività del tema identitario. Ed è proprio su questo elemento costruttivo che dovremmo basare le nostre scelte rappresentative.
Ma qui si pone l'ennesimo problema. Come si rappresenta la costruzione del significato? Come si rappresenta il nostro percorso, fatto di riflessioni di un gruppo che ricerca e di voci esterne che ci rispondono? Come si rappesenta quell'intreccio di punti di vista di cui detto?
Qualche idea visiva si può trovare giocando appunto sulla compresenza di più livelli (punto di vista del tutorial visivo, dell' "emo" intervistato, dell'esterno al gruppo e anche dei mass media), ma rappresentare è più difficile di quanto sembri.
Suggerimenti concreti?

giovedì 2 dicembre 2010

la vita su facebook

i social network non sono più ormai uno strumento di comunicazione, ma sono una piattaforma di condivisione globale, dove un individuo scientemente mette in rete tutte le informazioni chiave della sua vita personale, come la coppia, la famiglia gli amici, e soprattutto gli stati d’animo. Questi aspetti sono spesso anzi quasi sempre correlati con foto che testimoniano gli eventi. Che sia un aspetto positivo o negativo non si può ancora dire ma che ad oggi milioni di persone condividono la loro vita su Facebook è un fatto reale e bisogna prendere in seria considerazione tutto ciò che accade sui social media.
Il video realizzato da Maxime Luere che sta facendo incetta di condividi racconta la vita telematica e non di un fantomatico Alex Droner, dall’iscrizione alla presunta morte. Si comincia col condividere le prime foto, l’aggiunta progressiva degli amici, il cambio di stato da in coppia a single, che da il via ad una relazione che nasce proprio sul social. Si finisce con l’incontro dei due nella vita reale, matrimonio, figli e velocemente alla vecchiaia.
http://www.youtube.com/watch?v=NfIT1X3lnIY

mercoledì 1 dicembre 2010

indicazioni pratiche

Ciao a tutti,
so che i lavori proseguono e che state progressivamente costruendo l'oggetto della vs ricerca( delimitazione del campo/posizionamento/problematizzazione sia metodologica che epistemologica del mezzo di registrazione utilizzato ).
Cercate di aggiornare sempre l'andamento del lavoro via blog per le ragioni già ampiamente specificate.

per esempio:

a. il gruppo " corpi elettivi" lunedì ha iniziato a lavorare i materiali audio-visivi raccolti tra il pubblico del film " la rete sociale". Trovate il modo di raccontarci ciò che è emerso dal vostro lavoro e di postare le formazioni discorsive che emergono dal materiale filmico che state analizzando in riferimento al vostro oggetto di ricerca. anche sottoforma di trailer linkati via youtube.....
b. il gruppo media appartenenza sta invece approfondendo i temi emersi dall'intervista già postata sul blog e sta cercando altri interlocutori ai quali proporre le questioni che stanno emergendo dal lavoro in itinere......quali sono queste questioni? come affrontarle con gli interlocutori?
c. il gruppo rete e legami sociali ha invece riformulato le proprie questioni sulla base delle sollecitazioni emerse dalla lettura dei testi proposti e sta cercando una forma per esplorarle sia a livello del mezzo utilizzato ( telecamera) che a livello di una problematizzazione delle proprie precomprensioni relative al tema in oggetto....
d. last but not least: il gruppo tutorial sta esplorando le questioni identitarie che emergono dai materiali di ricerca progressivamente raccolti e sta riflettendo su una serie di questioni collaterali di grande interesse....

Ricordo inoltre la necessità di una conversione dei file per il montaggio ( . mov/ percorso consigliato: http://www.squared5.com/ ): le mie disponibilità supplementari per la risoluzione di problemi tecnici + utilizzo degli strumenti a disposizione del laboratorio di antropologia visiva, sono il lunedì in mattinata e il giovedì mattina o pomeriggio - previo accordo.
Lunedì prox nn ci sarà lezione quindi cercate di avviare a conclusione il vostro lavoro di raccolta dei materiali per iniziarne la lavorazione e lasciarvi il tempo per eventuali inserimenti che valuterete necessari ( interviste, immagini, etc.) al fine di dare forma compiuta al vostro prodotto audio - visivo finale. La durata del prodotto finale non deve essere superiore ai 35 minuti.

un caro saluto e buon lavoro,
sara

domenica 28 novembre 2010

Intervista gruppo tutorial

Venerdi sono state fatte le prime interviste. Ci siamo da subito scontrati con la difficoltà di trattare il tema dell'identità, anche se molti elementi interessanti sono emersi.
L'intervista è stata una sorta di chiacchierata totalmente non strutturata, ma difficile è stato approfondire i punti di nostro interesse. I ragazzi erano molto giovani (sarà da risolvere anche la questione delle riprese) e le nostre pre-conoscenze che ci eravamo fatti cercando e analizzando tutorial e affini sull'argomento sono state totalmente messe in discussione dalle loro semplici ma chiare risposte. Alla domanda "come voi vi autodefinireste? Di quale gruppo giovanile vi sentite parte?" La risposta è stata un semplice quanto disarmante "non mi autodefinisco e non faccio parte di nessun gruppo. Io sono semplicemente io e mi vesto e faccio quello che scelgo io". Eppure tutto quello che avevamo visto e sentito finora ci indicava esattamente il contrario: ossia un forte senso di appartenenza in questo "nuovo" gruppo identitario giovanile, definito da regole di vita e stilistiche forti e condivise. Ci siamo a lungo interrogati su questa discrepanza a fine intervista e l'unica risposta che siamo riusciti a darci per il momento riguarda proprio quella separazione tra endogeno/esogeno che era uscita in aula. In questo senso infatti possiamo dire che la forte definizione del gruppo "emo" dei giovani è qualcosa che viene dall'esterno, una sorta di contenitore creato ad hoc per inserire ed "etichettare" tutti quegli adolescenti "strani" ed alternativi che si vedono per le strade. Dal "loro" punto di vista però le cose sono diverse: le somiglianze sono dovute a gusti musicali e a stile di abbigliamento ed estetico (cosa che non risulta affatto nuova), ma non è celata in questa scelta stilistica alcuna filosofia di vita particolare, né alcuna regola di gruppo. Il tuorial si inserisce perfettamente in questo discorso: quelli che parlano di regole identitarie vere e proprie sono le parodie, i video fatti da persone esterne, mentre quelli reali e "seri" sono limitati a semplici consigli su come pettinarsi, truccarsi o dove comprare vestiti e accessori, cosa che si allinea perfettamente con l'aspetto stilistico identitario di cui dicevo prima.Nell'intervista si nota molto la differenza "come gli altri ci vedono (emo) e come siamo noi realmente". Nonostante questo sono però da considerare due fattori importanti a mio avviso: primo, che nonostante i ragazzi non si autodefiniscano Emo, esiste tutta una costruzione simbolica (visibile nella divisione tra poser, skunker, screamo) che permette ai ragazzi di posizionarsi e allo stesso tempo di differenziarsi dal gigantesco contenitore emo. Secondo fattore è che comunque in alcune "interviste" via chat abbiamo incontrato persone che invece si dichiarano parte di quel gruppo stilizzato e negato da molti, seguendo e condividendo le regole (la necessità di essere pessimisti, tristi, sofferenti; la triste scelta di tagliarsi le braccia,ecc.)considerate tanto importanti quanto i gusti musicali e il famoso ciuffo davanti al viso. Interessante sarebbe quindi confrontarsi con una di queste persone in un'intervista vera e propria soffermandosi proprio sul loro modo di vedere l'appartenenza e su come pensino invece l'altra parte, quella dei tutorial e della semplice appartenenza estetica.Si scopre quindi un mondo complesso, che difficilmente sarà analizzabile in profondità qunto forse l'argomento meriterebbe. Di sicuro però è già emersa (in un'altra parte dell'intervista che non tratterò ora qui) la forte funzione del social network, di internet e dei tutorial nella costruzione dell'identità giovanile di oggi. I nati nell'era virtuale hanno la possibilità di avere spazi di socializzazione e di costruzione dell'identità molto più ampi, anche fuori dal gruppo fisico della vita quotidiana. Internet cambia completamente la socializzazione giovanile , la complica e la arricchisce con tutti i suoi rischi e pericoli ma anche con tutte le positività delle sue risorse.

venerdì 26 novembre 2010

NUMERO DI DUNBAR

Il numero di Dunbar è un limite cognitivo teorico che concerne il numero di persone con cui un individuo è in grado di mantenere relazioni sociali stabili, ossia relazioni nelle quali un individuo conosce l'identità di ciascuna persona e come queste persone si relazionano con ognuna delle altre. I sostenitori di questa teoria asseriscono che un numero di persone superiore al numero di Dunbar necessita di regole e leggi più restrittive per mantenere il gruppo stabile e coeso. Del numero di Dunbar non è stato proposto un valore preciso, ma un'approssimazione comunemente adoperata è 150.
Il numero di Dunbar è stato introdotto dall'
antropologo britannico Robin Dunbar, che teorizzò che "questo limite è funzione diretta della dimensione relativa della neocorteccia, che a sua volta limita la dimensione del gruppo ... il limite imposto dalla capacità di elaborazione neocorticale riguarda il numero di individui con i quali può essere mantenuta una relazione interpersonale stabile."
Che ne dite?

giovedì 25 novembre 2010

Intervista n°1 (media e appartenenza)



Questa è la prima intervista realizzata dal gruppo di lavoro su "media e appartenenza", nella versione originale, senza ancora tagli o montaggi.

The social network - la vendetta dei corpi

Il Post pubblica un articolo/intervista, "Cosa c’è di vero e di falso nel film su Facebook" dove nella seconda pagina si tocca un tema che ptrebbe essere interessante.

Riportando un post del blog di Mark Zuckerberg l'articolo spiega come il momento di ideazione di facebook avesse decisamente molto a che fare con delle foto imbarazzanti:
The Kirkland facebook is open on my computer desktop and some of these people have pretty horrendous facebook pics.
Successivamente l'articolo riporta che
in difesa di Zuckerberg va detto che, a quanto pare, Facemash [il nome originale di Facebook, ndr] non era un’applicazione per mettere a confronto solo le ragazze ma includeva anche i ragazzi: questo ridimensiona la sfumatura di vendicativo maschilismo che viene data all’episodio.
Il fatto che ci fossero o meno anche i ragazzi fin dall'inizio ci interessa poco (potrebbe interessare allo psicanalista di Zuckerberg), mentre decisamente più rivelatore per le scienze sociali potrebbe essere il fatto che attorno alla nascita di Facebook si sia creato un mito (ok forse mito è troppo, diciamo una storia) di misoginia e maschilismo. Non è esplicitato nel pezzo ma quello che viene in mente a me è che il vedere – che diventa essere osservato per chi lo subisce – sia l'arma del maschio, che mette a confronto le foto delle ragazze per scegliere la più bella e degradare quelle che ritiene brutte, o ancora che rende pubbliche delle foto (di corpi) imbarazzanti per vendetta.

Ma la sorte spesso gioca d'ironia e così oggi ci si chiede cosa è preso a tutti quelli che su Facebook mettono le lore proprie foto in momenti imbarazzanti, in situazioni equivoche o in pose disastrose.

Per concludere un fumetto in tema: il titolo della striscia è "7 thinghs you really don't need to take a photo of". La settima è qui sotto, per le altre: the oatmeal.



Avviso gruppo tutorial

Come avrete appreso dalla mail di Mariateresa, l'incontro con i ragazzi per le interviste di oggi è stato rinviato a domani. Io purtroppo non so se riuscirò ad esserci e forse anche qualcun altro. Colgo l'occasione per ricordare, a chi riuscirà ad andare all'appuntamento, di mostrare esempi di tutorial riguardanti il loro "gruppo sociale" ai soggetti intervistati. Inoltre, se possibile, sarebbe utile poter ricevere e visionare il materiale prodotto domani prima della lezione di lunedì.

martedì 23 novembre 2010

metodologia di scambio durante il work in progress

Ciao a tutti,
ora che avete definito temi, oggetti e metodologie delle vostre microetnografie è indispensabile l'utilizzo del blog come mezzo di scambio, discussione e riflessione sul vostro lavoro.
Passate dallo scambio via mailing list interno ai singoli gruppi agli strumenti post e commento sul blog:
- per consentire a tutti di seguire i lavori in corso indipendentemente dal gruppo in cui siete collocati
- per, soprattutto, riflettere sulla costruzione dell'oggetto, sulla delimitazione del campo e sul vostro posizionamento.

l'utilizzo della telecamera come mezzo di esplorazione dei fenomeni sociali in oggetto va costantemente problematizzato: come possiamo produrre conoscenze (sui) e rappresentare - a livello audio-visivo - i fenomeni indagati in oggetto?

buon lavoro e un caro saluto,
sara

lunedì 22 novembre 2010

Media e appartenenza

L’obiettivo della nostra ricerca è indagare come i migranti utilizzano i nuovi media per mantenersi in contatto con il loro paese d’origine. Inoltre vorremmo indagare se questi contatti influenzino in qualche modo la percezione della loro appartenenza sia al paese di provenienza che al paese in cui si trovano ora, in questo caso l’Italia. Per fare questo abbiamo intenzione di intervistare alcuni migranti secondo questo schema:
Presentazione:
Qual è il tuo paese d’origine?
Cosa fai nella vita?
Da quanto tempo sei in Italia?
Con o senza la tua famiglia?
Con che tipo di persone del tuo paese sei in contatto?
Con quali mezzi mantieni questo contatto?
E’ importante per te? Perché?
Noti una differenza nel modo di comunicare con italiani/persone del tuo paese?
Ti tieni informato sulla vita quotidiana/avvenimenti del tuo paese?
Tutto questo ti fa sentire piu “a casa”?
In che modo tenere contatti con il tuo paese influenza il tuo senso d’appartenenza all’Italia/paese d’origine?
Prova ad immaginare come sarebbe il rapporto con il tuo paese d’origine se non avessi a disposizione queste tecnologie per comunicare…

Tutorial

Per motivi di tempo abbiamo deciso di concentrarci su un unico tema identitario (pur nella problematicità di una sua delimitazione) che sembra essere piuttosto diffuso nella componente adolescenziale della società contemporanea, quello dei cosiddetti “emo”.
Dopo ricerche e alcuni contatti, abbiamo scoperto che il tutorial non viene visto e utilizzato da tutti allo stesso modo. Nella maggior parte dei casi abbiamo percepito che il tutorial è funzionale primariamente all’acquisizione della componente estetica (abbigliamento, acconciatura, trucco…) dell’identità di gruppo. Il tema centrale della nostra indagine consisterà quindi nell’approfondire, attraverso interviste ai diretti interessati, l’ambiguità del rapporto tra nuove tipologie di costruzione identitaria e spazi virtuali.

Rete e legami sociali : obiettivi e metodologia della microetnografia

L'indagine vuole fare luce sull'impatto che la novità degli ultimi Social Networks ha avuto sul modo in cui le persone si relazionano, in rete e nella vita reale, o in entrambe contemporaneamente.
Le coordinate dell'indagine sono emerse da un brain-storming tra di noi attraverso posta email e in aula. Abbiamo individuato i seguenti punti:
Rituale del Kula e origine dei legami sociali (testo di riferimento: “Il dono”, Marcel Mauss e “Argonauti del Pacifico Occidentale”, Bronislaw Malinowski)
Analisi comparativa tra fruitori e non dei Social Networks (con particolare riferimento a Facebook, essendo il più utilizzato)
Motivazioni (perché iscriversi/non iscriversi?)
Obblighi di comportamento virtuale (accettare l'amicizia, auguri di compleanno, regali di Farmville)
A chi si dà l'amicizia? (Gradi di amicizia virtuale)
Coordinate di Spazio/Tempo prima e dopo i Social Networks: relazioni immediate e istantanee, ma incorporee. Il corpo come grande assente. Contrazione e priorità del tempo rispetto allo spazio.
Identità online e visibilità: aspetto teatrale e performativo della relazione via web
Che cosa si può capire di una persona dal suo profilo virtuale?
Superficialità delle relazioni (si accetta l'amicizia di qualcuno, ma poi ci si mette offline per non chattare con questa persona)
Come cambia l'utilizzo di Facebook nel corso del tempo?
Problematizzazione del concetto di amicizia

In conclusione, che funzione svolge la rete virtuale nei rapporti umani? Collega, cattura o allontana?
É ancora presente il senso di libertà caratteristico degli scambi sociali prima dell'avvento della rete?

La metodologia di ricerca da noi prescelta si configura come interviste dirette a soggetti di varie fasce d'età con differenti gradi di utilizzazione e conoscenza dei Social Networks, nella speranza di ottenere un quadro il più generale possibile.

domenica 21 novembre 2010

Corpi elettivi

Mi faccio portavoce del gruppo cinema e pubblicità del laboratorio di antropologia visuale della Bicocca; sebbene le grandi linee di quanto è qui di seguito esposto sono originate dalla collaborazione tra tutti i partecipanti al gruppo, la messa in forma è mia e quindi mie dovrebbero essere le colpe di eventuali errori e inesattezze.

Partiamo con una premessa: di film che parlano di social network e di interazioni che si svolgono in questo ambito non ce ne sono tanti ed è quindi necessario allargare in qualche modo la definizione di social network per poter avere una base di film da cui partire.

Per farla breve nella nostra scelta considereremo pertinenti tutti qui film in cui una (nuova) possibilità tecnologica permette di collegare due o più persone oltre i vincoli spaziali e/o temporali e di creare così un nuovo spazio-tempo dell'interazione che deve quindi essere riempito di significati. Questa definizione ha il vantaggio di non considerare l'opposizione reale/virtuale che rimane a mio avviso una opposizione non utile dal punto di vista di un analisi dell'esperienza: gli incontri, le azioni e le emozioni vissute attraverso un computer (e le loro conseguenze sulle persone) non sono meno reali che il computer col quale interagiscono: un biglietto di aereo virtuale comprato per raggiungere a Malmo un amico svedese con cui gioco online a Warcraft mi permette di arrivare a destinazione proprio come un biglietto cartaceo (reale secondo la definizione corrente, ma sempre una convenzione frutto di un accordo sul significato di quel pezzo di carta).
Questa indipendenza dal concetto di virtuale dischiude inoltre la possibilità di fare dell stesso un oggetto dell'analisi, di indagare quindi su quali basi una realtà virtuale è (o non è) opposta a una realtà reale e quali sono i vantaggi e gli svantaggi di operare ad in una tale modalità.

Definendo in questo modo il campo di ricerca, l'indagine rimarebbe tuttavia ancora troppo vasta e rispondere alle domande qui sopra andrebbe sicuramente oltre le nostre possibilità d'analisi (sicuramente per questioni di tempo, probabilmente per inesperienza).
Restringere il campo è allora necessario: focalizzarsi su un solo aspetto dell'esperienza che a fronte delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie ha dovuto riadattarsi e reinventarsi può forse offrire l'occasione di scendere più in profondità.

La nostra scelta è di cercare di comprendere l'uso e le trasformazioni che i corpi, le loro rappresentazioni e le loro presentazioni subiscono una volta entrati nello spazio/tempo generato dall'uso delle nuove tecnologie. Che immagine del nostro corpo mettiamo in scena quando
possiamo coscentemente decidere (e fino a che punto la volontà può influire è già una domanda interessante da porsi), che immagine darne? In che maniera si lega al corpo (o ai corpi) che già si possiedono? Come il cinema, che già è rappresentazione e quindi è già in una certa misura familiare a questo problema, parla di questi corpi che possiamo chiamare corpi elettivi?

Al fondo di tutto credo però che sia a una domanda più profonda che ci si potrebbe porre. Perché si pensa che un corpo elettivo, ricreato solo attraverso la volontà e i desideri personali, possa a volte essere più pertinente e sentito come più proprio, che il corpo (stavo per scrivere reale, ma sarei caduto nella dicotomia reale/virtuale che voglio evitare come strumento analitico) sviluppato durante l'intera vita?
Da dove viene l'idea che la mente possa creare un corpo più vero e più rappresentativo di sè stessi rispetto al corpo che ci siamo pazientemente e a volte dolorosamente costruiti attraverso la nostra storia?

Insomma: perché questa supremazia del pensiero, che può scegliersi il corpo che preferisce, come se questo fosse un accessorio?
Sì, Cartesio, sto parlando a te!

Per concludere una lista non conclusa e dei film che potrebbero essere utili per uno studio di come il come il cinema rappresenta i corpi elettivi e le loro proprietà.
- Inception : ok qui si va oltre i corpi, e anzi in un certo senso potrebbe essere interessante chiedersi perché così poca attenzione.
- Avatar ;
- Matrix ;
- Tron ;
- L'autre monde : qui il link ci da una mezza analisi e suggerisce i due ultimi film;

Qualcuno ha qualche altro suggerimento?.

sabato 20 novembre 2010

Come si può diventare "autori" di questo blog

Visto che il malinteso è comune, chiarisco un punto a beneficio di tutti coloro che vogliano postare su questo blog, non solamente commentare i post scritti da altri. Per poter diventare autori bisogna essere invitati direttamente da uno degli amministratori (io o la prof. Bramani). Dovete quindi mandarci una mail ai nostri indirizzi in cui chiedete di essere invitati come autori, e a quel punto noi faremo l'adeguata procedura, che vi invierà una mail con tutte le (semplici) istruzioni da seguire.
Se vi iscrivete al blog state semplicemente dichiarando che "vi piace", che lo leggete volentieri, e che, eventualmente, avete deciso di leggerlo nel vostro "aggregatore" di news e pagine web, ma rimanete a tutti gli effetti lettori, non autori. Quindi, chiunque di voi voglia o debba postare DEVE prima farsi invitare dagli amministratori, cioè deve chiedercelo via mail!

Quando i social networks sono davvero "social"

Laura ha 41 anni e lavora da tempo per una nota azienda produttrice di apparecchi elettronici. A Febbraio del 2010 le arriva una proposta dalla Direzione: si tratterebbe di andare a Shangai per 6 mesi in qualità di quadro aziendale. Prendere una decisione non è facile: Laura è sposata e ha una casa, un cane e una vita in Italia. Non sa che cosa fare; alla fine, grazie anche al supporto morale del marito, decide di partire e di affrontare questa esperienza.

Ai primi di Marzo si trasferisce a Shangai. In Cina quasi nessuno parla inglese e per lei è veramente difficile adattarsi e instaurare rapporti con la gente, quindi durante il primo mese non fa altro che andare in ufficio a lavorare, per poi tornare a casa e mettersi a chattare con i “contatti italiani”, ma non è abbastanza: Laura si sente sola e spaesata, straniera in terra straniera. Una sera, in preda alla noia, digita delle parole su Google e s’imbatte in un blog italiano: VIVI SHANGAI, dove trova informazioni in tempo reale: “stasera aperitivo con spritz al Wine Bar” e indirizzo del locale. Si arma di coraggio e decide di andarci. Appena entrata tutti si voltano a salutarla: “Ciao, da dove vieni?”. Così inizia la sua amicizia con alcuni italiani che, come lei, si trovano a Shangai per i più svariati motivi e finalmente non si sente più sola in un mondo estraneo.

Il Wine Bar d’ora in poi sarà il suo porto franco in Cina. Con i suoi nuovi amici può confrontarsi e parlare delle sue impressioni e delle difficoltà incontrate, come il problema della lingua, del rinnovo del visto, delle scritte indecifrabili al supermercato, ecc. Insomma: riesce a condividere quelle problematiche che i suoi cari in Italia non possono comprendere.

Oggi Laura è tornata a Milano, ma ha conservato alcune amicizie con le persone conosciute a Shangai e con cui sente di aver condiviso esperienze e sensazioni importanti. Tuttora mantiene i contatti con loro. In particolare con Serena, la barista del Wine Bar, si è creato un rapporto intimo e forte: tra un mese verrà in Italia e sarà ospite a casa sua. “Meno male che quella sera presi la decisione di andare a quell’aperitivo!”, mi dice soddisfatta. Poi controlla l’orologio e calcola la differenza di fuso orario: vuole farmi conoscere Serena, così accende il computer e si mette on line, video-parleremo via Skype con lei.
Erika Rivolta

lunedì 15 novembre 2010

come fare la ricerca sui tutorial

ciao a tutti. posto qui una domanda di Federico Giudici con la mia risposta. Credo che possa interessare molti di noi, dato che la domanda di Federico solleva una questione metodologica importante su come si fa antropologia dei media. Ho provato a dare i miei suggerimenti metodologici.
pv

Salve, grazie per l'invito all'iscrizione nel blog. Volevo chiederle un consiglio. Le parlo a nome del gruppo di studenti impegnati nello svolgimento di una mini etnografia riguardante i tutorial. Il nostro dubbio è su come impostare la ricerca, se osservare un tutorial dall'interno oppure cercare di contattare degli utenti e dei creatori di tutorial (cosa che riteniamo sia migliore per quanto ci sia la difficoltà di trovare utenti disposti a farsi intervistare). Lei ha qualche suggerimento che possa servirci come spunto di riflessione per dare avvio alla ricerca in questione?
La ringrazio per la disponibilità e le auguro una buona serata
federico giudici

Caro Federico,
io credo che la sua domanda sollevi anche un'importante questione metodologica della ricerca antropologica sui media. "prima dei media" (prima cioè che gli antropologi cominciassero ad occuparsene) gli antropologi hanno vissuto un po' con la romantica certezza di dover essere i responsabili della produzione del loro dato etnografico. L'antropologo andava "sul campo" e con colloqui, interviste e osservazione partecipante raccoglieva il corpus della sua ricerca. Alcuni studiosi particolarmente attenti potevano aggiungere "le fonti scritte", ma in sostanza l'idea era che il corpus si creava con la ricerca, che cioè a crearlo fosse il ricercatore sul campo. Con i media la questione si complica, dato che i media, soprattutto nella loro disponibilità attuale di small media di utenza singola producono corpora sterminati di dati dati che PREESISTONO l'arrivo dell'etnografo sul campo. Io direi che non dobbiamo assolutamente trascurare queste fonti già costituite, e che dobbiamo anzi integrarle nei nostri progetti di ricerca attraverso uno spoglio quanto più sistematico.
In pratica, nello studio dei tutorial io vedrei due dimensioni di ricerca da tenere in piedi:
1. Da un lato il lavoro di censimento di quel che c'è in rete (e non solo in rete). Vale a dire cercare di raccogliere e catalogare tutte le forme disponibili sui media di "produzione dell'identità". Il lavoro di schedatura di YouTube va condotto con precisione, dividendo i diversi video per tipologia di utenti (gender e stile proposto) ma anche per tipologia di soggetti proponenti (chi propone il tutorial? Un singolo o un gruppo? Si tratta di un tutorial una tantum o di un progetto più articolato di diversi tutorial? Il tutorial propone la costruzione di un look o di uno stato d'animo?), senza trascurare il fatto che molti tutorial sembrano dominati da una certa ironia: quanto il tutorial si prende sul serio?
1bis A fianco di questo lavoro sui tutorial, credo che si debbano fare delle ulteriori ricerche sui siti dedicati a stili di vita o sottoculture specifiche, per capire quanto sono diffusi e articolati. 
1ter Non va trascurata l'analisi dell'interazione dei video/siti con gli utenti: valutare i commenti ai video, le pagine di commento ai siti, cercare insomma di farsi un quadro di come il materiale proposto via web venga fruito effettivamente.
2. Tutta questa prima parte di censimento deve guidare poi la selezione di soggetti da contattare direttamente, per interviste, colloqui, approfondimenti. I soggetti da etnografare devono essere sia nel campo della produzione (videomaker dei tutorial, responsabili dei siti) sia nel campo della fruizione (utenti dei siti particolarmente attivi, commentatori dei video molto loquaci e presenti).
Credo che che solo combinando un lavoro accurato di spoglio del materiale già disponibile con un'etnografia accurata si possa procedere con il lavoro in maniera proficua.
Sentiamoci se ci sono necessità di chiarimento!
Posto questo sul blog, potrebbe servire anche ad altri.
pv

giovedì 11 novembre 2010

La nozione di dono

Ciao a tutti,

posto come promesso una breve sintesi che ho scritto del testo di Caillé, Il Terzo Paradigma, che può essere utile al gruppo che lavora sulla RETE ( ancora non avete comunicato la decisione in merito al vostro nome/tag )per articolare il lavoro di ricerca.

L'autore si interroga sulle condizioni di possibilità dell'azione sociale a partire da una critica serrata del paradigma olistico e di quello fondato sull'individualismo metodologico. Secondo l'autore questi due paradigmi tentano di spiegare unilateralmente la genesi dei rapporti sociali: il secondo facendola derivare dalle decisioni e dai calcoli individuali; il primo dall'influenza della totalità sociale.
Nel tentativo di superare la dicotomia istutita da questi due paradigmi ( sociale/individuale - società/individuo), ed altre a questa strettamente correlati, l'autore propone un terzo paradigma fondato sulla nozione di dono, ovvero sul triplice obbligo di donare ricevere e ricambiare, formulata da M. Mauss nel suo Essai sur le don.
Il dono, in quanto performatore per eccellenza delle alleanze, è ciò che secondo Caillé, spiegherebbe il legame sociale.

" Allaciando rapporti resi determinati dagli obblighi che contraggono con l'allearsi e il donarsi gli uni con gli altri, assoggettandosi alla legge dei simboli che creano e fanno circolare, gli uomini producono simultaneamente la loro individualità, la loro comunità e l'insieme sociale in seno al quale si dispiega la loro rivalità" [pag.48].

L'interesse della proposta di Caillé, in riferimento al nostro lavoro, risiede a mio parere nell'accento che l'autore pone sulla prassi dei legami sociali e sull'invito a ragionare nei termini di interazionismo del dono. Se si considera il dono, DAL PUNTO DI VISTA degli attori sociali, è possibile porre al centro dell'attenzione ( FOCUS) l'interazione concreta tra i soggetti; ovvero il farsi delle relazioni prodotte e presupposte ( ma anche interrotte e/o riformulate) nelle "modalità d'uso" ( DECerteau) del/dei social network/s.

Un prima questione potrebbe essere posta in questi termini:
- quali sono le risorse che circolano (sia in termini materiali che simbolici) tra i membri della rete? = ambito di riflessione ed elementi dinamici delle relazioni

L'invito di Caillé a non ridurre l'azione sociale ad un'istanza ultima, astorica ed atemporale, sia questa il calcolo individuale o l'obbligo derivante da una totalità preesistente, ma di pensarla piuttosto attraverso la nozione di dono, apre lo sguardo ad altre fonti dell'azione umana quali sono quelle, ad esempio, del piacere e della spontaneità.

Una seconda questione si pone a mio parere in riferimeno alla legittimità o meno di considerare le azioni sociali attraverso il social network come doni.

Caillé definisce il dono come prestazione effettuata senza attesa di restituzione determinata. L'accettazione di una mancanza di reciprocità sarebbe, secondo l'autore, l'elemento comune ad altre e più ristrette definizioni del dono che lo finalizzavano alla creazione del legame sociale e ne limitavano la portata alla prestazione di beni e servizi.

Non si danno solo beni e servizi, scrive Caillé, ma anche parole, feste, conferenze, impressioni, colpi, amore, odio, la vita e la morte.
Notiamo qui come tra i doni possibili possiamo trovare molte delle risorse materiali e simboliche che circolano attraverso i social networks.

Una terza questione utile all'analisi è quindi relativa al significato ed alla forma del dono: cosa doniamo, per esempio, quando inviamo a un soggetto una richiesta di amicizia? e quando la accettiamo?

Per ora direi che questi spunti mi sembrano più che sufficenti per avviare una proficua discussione ed un buon orientamento all'analisi del gruppo RETE.

Se riesco posterò più tardi le riflessioni generali - questioni - affrontate a lezione in riferimento all'utilizzo di alcuni spunti dell'opera di Gramsci per un'analisi antropologica dei media in questione.

Sara Bramani

martedì 26 ottobre 2010

Benvenuti

Ciao a tutti,
anche quest'anno si è deciso di proporre agli studenti del laboratorio di Antropologia Visiva di svolgere le proprie microetnografie sul tema delle nuove tecnologie e di farlo attraverso la mediazione di questo blog.
Le nuove tecnologie non solo, quindi, come oggetto di studio ma anche come strumenti di osservazione e di analisi.
Ieri, nell'ultimo incontro, abbiamo individuato cinque aree tematiche: una per ogni gruppo.
1 - tema delle rete: il legame sociale ( testo di riferimento: Saggio sul dono di M. Mauss, in particolare l'introduzione di M. Aime all'edizione Einaudi del 2002)
2- tema delle rappresentazioni cinematografiche e pubblicitarie relative al tema ( testo di riferimento: S. Hall, Politiche del quotidiano, Il Saggiatore, 2006, in particolare l'articolo " codificazione e decodificazione).
3- I Tutorial: apprendimento formale ed esplicito dell'appartenenza ( "corpus" di riferimento: Prof. Piero Vereni via blog)
4- L'esperienza dello spazio e del tempo ( testo di riferimento: La crisi della modernità, D. Harvey, il Saggiatore, 1993)
5 - L'immaginario: Rappresentazioni e pratiche ( testo di riferimento, Le comunità immaginate di B. Anderson )

Abbiamo svolto inoltre una prima esercitazione ( e raccolta di materiale ) filmando il lavoro di presentazioni delle esperienze soggettive degli studenti con i social networks e cercando di rendere conto - rappresentazione audio - visiva - del carattere condiviso e partecipato dello scambio e della comunicazione all'interno dei singoli gruppi.
Se riuscite, cercate di caricare i video su youtube per i colleghi assenti e di segnalare il link postandolo sul blog.

Noterete che avete la possibilità di intitolare i vostri messaggi sul blog selezionando una delle diverse etichette ( tag ) proposte nelle opzioni post. Utilizzare tag in modo appropriato facilita l'orientamento nello spazio virtuale.
Propongo per ora l'aggiunta di due tag: ( = intitolate in questo modo i vostri mess nello spazio sottostante in cui viene richiesto di inserire l'etichetta del post)
1. esperienze soggettive ( per quanto riguarda i messaggi circa il proprio rapporto ( esperienze e idee - ad oggi - con/sui social networks )
2. oggetto di ricerca ( per scambi, proposte, idee, comunicazioni, etc., sui temi di ricerca proposti)

Un grazie sentito al Prof. Vereni per consentirci di utilizzare questo prezioso strumento di comunicazione, osservazione ed analisi e per il suo post con l'interessante proposta e presentazione del tema TUTORIAL che ho selezionato come oggetto di ricerca.
Buon lavoro a tutti
Sara Bramani

lunedì 11 ottobre 2010

Outsourcing identity

RIPUBBLICO QUI un post che ho pubblicato la settimana scorsa sul mio blog. Forse può essere utile per introdurre qualche discussione sul rapporto tra identità e nuove forme di comunicazione.
pv

Lunedì scorso, 4 ottobre, cinque mie studentesse hanno presentato ai loro colleghi le relazioni sulle loro “ricerche etnografiche” (lo scrivo tra virgolette perché si tratta di abbozzi, di primi passi, a volte quasi di parodie di etnografie, a me serve per farle confrontare con la metodologia dell’osservazione partecipante, non pretendo che con 12 cfu di antropologia culturale, gli unici della loro formazione, ne escano etnografe fatte e finite).
Eppure, grazie comunque al lavoro diretto, “sul campo”, ricavo sempre spunti importanti di riflessione da queste presentazioni dei miei studenti.
Alessandra Romaniello ha presentato il suo lavoro su YouTube come nuovo “maestro unico” dell’identità (ci torno più avanti). Elisa Pedanesi ci ha raccontato il suo lavoro sulla trasmissione del sapere nell’era degli archivi elettronici: come le mamme usano YouTube (e altre fonti audio-video) per insegnare ai figli (spesso alle figlie) le canzoni e le storie dei cartoni animati (giapponesi).
Elisa Gallo ha fatto un accurato shadowing per verificare il rapporto tra identità online e offline, individuando anche forti discrepanze tra le due dimensioni.
Alessia Bendia ha studiato la pagina facebook di “Roma sparita”, e anche grazie a un’approfondita intervista con alcuni degli ideatori della pagina ci ha offerto un quadro attuale di un sentimento meno antico di quel che si crede: la nostalgia.
Clarissa Napoleoni, infine, ha raccontato l’uso di Facebook come fonte di interazione sociale, di malinteso, di comunicazione indiretta. E di pettegolezzo.
Alcuni temi sembrano riproporsi trasversalmente alle ricerche: il culto della memoriaintesa come recupero nostalgico di un passato fortemente idealizzato (Pedanesi e Bendia); lo scollamento tra quel che si percepisce e si rappresenta di sé online e offline (Gallo e Napoleoni); internet come uno spazio sempre più pervasivo nellacostruzione identitaria dei soggetti (tutte le relazioni).
A proposito di quest’ultimo tema, mi sembra particolarmente rilevante un punto posto in evidenza nella relazione di Alessandra Romaniello, vale a dire l’adesione identitaria come pratica di apprendimento esplicito.
Durante le prime lezioni di antropologia culturale, insisto molto sul fatto che “la cultura” è una forma di sapere appreso, che quindi si contrappone a tutto quel (poco) che invece gli uomini sanno fare “per istinto”. La cultura, dico loro con uno slogan, è tutto quel che gli uomini fanno e sanno avendolo imparato, cioè è tutto il sapere non innato.
Appena questo punto è chiaro, però, approfondisco il concetto di “apprendimento”, per far capire a chi si avvicina all’antropologia per la prima volta che imparare non significa necessariamente porsi in un contesto formale (una scuola) dove i ruoli sono chiari (docenti, discenti) e altrettanto chiaro è l’oggetto dell’apprendimento (rosa, rosae, rosae…). Una parte non indifferente di quel che sappiamo e facciamo è in realtàappreso in maniera del tutto informale, vale a dire non sappiamo chi ce l’ha insegnato, quando l’abbiamo imparato, e  spesso non sappiamo neppure di saperlo, fin quando un contesto contrastivo non ci costringe a prenderne consapevolezza: dalla lingua (con le sue inflessioni regionali e connotazioni di genere, di classe sociale, di fascia d’età e di livello di istruzione, ad esempio) al “gusto”, vale a dire la consapevolezza di quel che ci piace e non ci piace. A questo punto, senza dirglielo, contrabbando un po’ di Bourdieu, di habitus e di capitale culturale. Solitamente chiamo alla cattedra un paio di studenti e chiedo loro un esempio di musica “bella” e di musica “che fa schifo”, oppure un esempio di abbigliamento “fico” e di abbigliamento “cafone” e così dimostro loro come tutti abbiano le idee piuttosto chiare (pur se non necessariamente in accordo tra loro), eppure non sono assolutamente in grado di raccontarmi dove e da chi hanno appreso quelle competenze.
Detto molto all’incirca, il gusto “libero” (come lo definisce Bourdieu) vale a dire quello che non si impara a scuola (i gusti culinari, lo stile con cui ci vestiamo o arrediamola nostra casa/camera) è una colonna fondamentale della nostra “identità”, e la sua apparente libertà dipende(va) proprio dall’informalità dentro cui era appreso. Avere quellapassione per quel cantante, essere maniaci di quel capo di vestiario, preferire quel cibo e detestare quell’altro, sono sempre state forme di sapere che abbiamo sentito profondamente “nostre” (e quindi fondative della nostra soggettività, produttrici di identità) proprio perché non ci siamo mai resi conto di come e dove le abbiamo apprese. Ora, anche se Bourdieu, tra gli altri, ci ha dimostrato in modo inequivocabile che c’è sempre una correlazione precisa tra specifici gusti supposti “liberi” e specifiche porzioni di classe, anche se insomma la ricerca ci ha dimostrato che siamo ben poco “liberi” in quel che ci piace e non ci piace, contava, dal punto di vista del soggetto “desiderante”, “optante” e “identificante” la convinzione di aver elaborato un proprio gusto senza fare riferimenti a precisi maestri. Certo, i role models sono sempre esistiti ma erano merce a disponibilità estremamente limitata, soprattutto difficili da fruire proprio nel loro ruolo di modelli sociali, sempre distanti, sempre avvolti un’aura sacrale. E, certo, non va dimenticato che il campo sociale si frammenta di fatto in gruppi riconoscibili, in raggruppamenti che gravitano attorno a specifici gusti e pratiche, vale a dire a sottoclassi, a “bande” e gruppi autoidentificati ai quali si accede con diverse modalità e che sono in grado di canalizzare con un certo rigore formale le forme di appartenenza degli adepti, ma in questi casi è ancora il desiderio di socialità (stare nel gruppo) che impone l’adesione identitaria (la “divisa” e i gusti del gruppo) e non viceversa (il bisogno di identità individuale che spinge ad aderire a un gruppo)

Bene, se questo era il quadro canonico, i tutorial che oggi proliferano su YouTube e in generale l’informazione esplicita resa disponibile su Internet sembrano in grado di cambiare la situazione in modo radicale.
Oggi un/a ragazzo/a che voglia appartenere a un gruppo non ha più bisogno di aspettare che il suo “modulo di adesione” sia in ben accetto al gruppo e può invertire le modalità dell’identità semplicemente apprendendo in modo del tutto formale ed esplicito quali siano le regole che fanno di un individuo un rappresentante del gruppo x. Un tale che abbia il desiderio di diventare modgothemoscene queentruzzo o qualunque altra forma di identità collettiva, e che “prima di YouTube” era costretto a passare per le forche caudine dell’iniziazione, dell’ingresso fisico nel gruppo (per poi assorbirne in parte per impregnazione i gusti e le modalità di comportamento) oggi può seguire i “tutorial” e i siti dedicati, imparare le lezioni (perché di questo di tratta, di lezioni) per assumere quell’identità in modo del tutto consapevole, vale a dire depauperato dell’aura della “libertà” e della “spontaneità”.
Non so che conseguenze possa avere questo nuovo tipo di apprendimento dell’identità (da largamente informale e non regolato a largamente formalizzato e sottoposto a un codice), ma ho l’impressione che il risultato finale siano identità paradossalmente meno investite emotivamente eppure più nitide nei loro confini. Essere “un capellone” negli anni Sessanta significava una nebulosa molto variegata di comportamenti e di scelte morali, e certo oggi essere un truzzo o un goth non è meno complicato in termini di adesione morale e di pratiche di vite. Essere qualcuno è sempre un’arte raffinata e sottile. Ma la differenza è nello stile didattico, per così dire. Mentre il capellone, che aveva appreso per imitazioni estemporanee, per successivi e cumulativi micro-investimenti emotivi sentiva un’adesione profonda alla sua maschera, che gli scavava dentro l’anima, le identità pret-a-porter disponibili tramite la rete non perdono mai la loro valenza di maschera, tanto meno per chi le porta, che rimane quindi sostanzialmente scollato dal suo involucro esterno, l’unico che mette a disposizione del pubblico. Il capellone, per dire, finiva per non rendersi conto di essere diventatocapellone, e poteva pensare che la capellonitudine fosse la sua vera identità, mentre il truzzo sa benissimo (e il tutorial è lì a ricordaglielo costantemente) che è quel che è solo perché l’ha imparato, e come oggi si mette quella maschera, così domani se ne potrà metter un’altra.
Questa conformazione identitaria “usa-ed-eventualmente-getta” deve basarsi su una costante marcatura delle differenze: mente un capellone, cioè, era più preoccupato di quel che lui poteva fare in quanto capellone, il goth o il mod o il truzzo deve sempre preoccuparsi di tracciare il confine, di mettere i puntini sulle i della propria definizione. Non si contano i post (su YouTube e su siti dedicati) che hanno come unico intento proprio quello di chiarire il punto: questo non è veramente goth, questo non èassolutamente emo, e così via. Del resto, per un’identità di questo tipo, tuttaesternalizzata, tutta demandata a specifiche fonti produttive esterne al soggetto, non c’è via di scampo: si è quel che si definisce di essere. Non si è più per quel che si fa, ma per quel che si dice, e la de-finizione diventa essenziale, costitutiva, l’unica cosa che veramente conta. Conta al punto che invece di provare a costruirne l’alchimia un poco per volta, ognuno a modo suo, la si prende già fatta, già delimitata, pronta per l’uso.
Tutto questo identificarsi mi lascia però un senso di insoddisfazione, come se fosse un modo per ridare vita a un’antica battuta (mi pare di Achille Campanile): se non riuscite a fare la cacca, compratela già fatta.

lunedì 14 giugno 2010

RESOCONTO SECONDA RILEVAZIONE (Monica Colombo)

Ciao a tutti.
Pubblico il post riguardante la mia rilevazione, svolta esattamente il 6 maggio 2010.
Prima di riportare quelli che secondo me sono stati gli avvenimenti più interessanti dal punto di vista della nostra ricerca, scrivo alcune mie osservazioni.
Per prima cosa, praticare l'attività di shadowing mi ha concretamente fatto capire quanto sia difficile e faticoso essere una ricercatrice in un ambiente estraneo.
Allo stesso tempo però è stata senza dubbio un'esperienza positiva: mi ha dimostrato che l'estraneità è necessaria per la comprensione e inoltre ho potuto constatare che in una situazione come questa, l'autoriflessività scatta quasi in automatico. Di fronte ad un "altro" anche noi ci conosciamo meglio, ci liberiamo da tutti i preconcetti che portiamo addosso e prendiamo distanza da essi. Insomma il nostro essere acritici viene abbandonato.
A mio parere, per conoscere l'altro non è necessario "mettersi nei suoi panni"- cosa per altro impossibile- ma mettere "l'altro dentro noi stessi" perchè è dal contrasto che nasce la conoscenza.
Per ultima cosa preciso che, oltre ad un uso continuato di carta e penna per riportare le mie annotazioni, l'uso della videocamera è stato fondamentale. Credo infatti che la resa visiva della mia attività di shadowing sia maggiormente fruibile agli altri attraverso i video piuttosto che attraverso un mio resoconto verbale. Inoltre le immagini hanno il prezioso vantaggio di mostrare tutto ciò che riguarda la sfera del non verbale il quale influisce moltissimo sulla creazione del significato finale dell'interazione.
Di seguito riporto alcuni momenti della mia giornata con il soggetto:

ORE 9.45
Il mio soggetto arriva con un quarto d'ora di ritardo.
Il nostro appuntamento era fissato presso la sua sede lavorativa.
Rimango positivamente colpita dalla sua estrema educazione.
Mi aveva infatti avvertita telefonicamente che sarebbe arrivata con un quarto d'ora di ritardo. Per scusarsi, mi offre un caffè.

Durante la mattinata, in ufficio, utilizza per tutto il tempo ( dalle 10 a 12.30) i seguenti social networks: facebook, linked-in, twitter, skype, friendfeed.
Skype è il social networks prediletto per comunicare con i suoi collaboratori, anche con la sua segretaria che si trova nell'ufficio a fianco.
Lei stessa è meravigliata da quante persone stiano commentando il suo post pubblicato su friendfeed.. Si tratta infatti di un post ironico: "Effetti collaterali dell' I-Pad: gli uomini cominceranno ad usare il borsello".
Questo post riceve in continuazione commenti scherzosi tanto che il soggetto stesso commenta: " La rete è così: scrivi qualcosa sulla strage del Lambro e nessuno dice niente, scrivi qualcosa di più banale e si scatenano subito i commenti."
Complessivamente durante la mattinata tutte le sue comunicazioni sono avvenute tramite social networks e e-mail.
Non è avvenuta nessuna chiamata: l'uso del cellulare e dell'I-Phone è stato inesistente.
Solamente sul blackbarry le arrivavano gli aggiornamenti di facebook.

ORE 12.30
Usciamo per pranzo. Ci rechiamo nella mensa aziendale.
Durante questa pausa pranzo ho avuto modo di interagire maggiormente con il soggetto.
Parlare liberamente, come fossimo persone qualsiasi che si scambiano due parole per conoscersi meglio, mi è stato molto d'aiuto poichè da questo momento in poi si è sciolto gran parte dell'imbarazzo e ho svolto le mie annotazioni con maggiore tranquillità.

ORE 13.00
Torniamo in ufficio

ORE 15.00
Fino ad ora non era entrato nessuno in ufficio, a parte la segretaria. Ora entra il suo collaboratore.
Da questo momento in poi, per circa trenta minuti, l'attenzione del mio soggetto è rivolta all'I-Pad.
Prende l'I-Pad da un cassetto della sua scrivania e inizia a parlare delle applicazioni che possiede.
Con il suo collaboratore, parla delle applicazioni che la loro Azienda potrebbe inserire su questo strumento.
I due si spostano dall'ufficio e organizzano una mini riunione con altri collaboratori.

ORE 17.30
Dice che ha terminato la maggior parte delle sue attività e che ha tutto il tempo per concedermi un'intervista. Videocamera alla mano, inizio l'intervista che durerà circa venti minuti.
Il soggetto si dimostra molto disponibile ed esauriente verso qualsiasi domanda.
Ciò che più mi colpisce- e che il soggetto stesso sottolinea a più riprese- è che il suo uso assiduo dei social networks non ha comunque le caratteristiche di una dipendenza. Mi dice chiaramente: "Se mi accorgessi di essere dipendente, smetterei subito".
Per il soggetto usare così tanto i social netwtks è sia un piacere che una necessità lavorativa in primis.

ORE 19.30
Ci spostiamo dalla sua sede lavorativa e, con un taxi, arriviamo presso un'altra azienda, dove si svolgerà in focus group a cui il mio soggetto deve assistere per questioni lavorative.
E' un focus group riguardante l'e-commerce.
Lo scopo è sondare- attraverso quanto dicono le dieci persone prescelte nel corso dell'interazione- quale siano le aspettative dei clienti verso il commercio on-line.

ORE 21.30
Termina il focus- group.
Dopo qualche minuto mi congedo dal mio soggetto.

E' stata una giornata molto frenetica ma molto entusiasmante.
Fare ricerca è davvero un'attività stimolante soprattutto quando il soggetto è- come nel mio caso- così interessante sia per la professione svolta ( è una manager e lavora in un'importante testata giornalistica) sia perchè era "adatta" a questo tipo di ricerca.
Il nostro obbiettivo è infatti analizzare il rapporto delle persone con i social networks e questa giornata mi ha offerto notevoli spunti di riflessione.
Ho già avuto modo di condividere questa mia esperienza con i miei compagni di laboratorio ma chiunque abbia qualche commento da proporre... io sono a disposizione!
Buona giornata,
Monica

martedì 18 maggio 2010

Abstract per call for paper

Ciao a tutti. Grazie a Ambra Zaghetto per il suo ottimo lavoro di rilevazione etnografica, credo che si sarà un bel po' da lavorare con il materiale raccolto.
Vi informo che io e Sara Bramani abbiamo spedito alla rivista Etnografia e Ricerca Qualitativa il nostro abstract per il numero speciale New Groups and New Methods? The Ethnography and Qualitative Research of Online Groups che sarà pubblicato nel 2011. Mi dispiace di non aver fatto circolare la bozza dell'abstract qui sul blog per poterla veramente discutere e concludere assieme, ma i miei tempi sono stati particolarmente ristretti queste settimane (questo semestre, direi) e ho dovuto chiudere limitandomi a fondere le mie idee e quelle di Sara, per rispettare la scandenza del 15 maggio. Spero comunque che siate interessati a partecipare alla stesura dell'articolo, se dovessero accettare la nostra proposta, che vi copio qui sotto.

Il mondo scompare se il computer si rompe? Un esperimento collettivo con le identità e i gruppi online.
Autore proponente: ricercasocialnetworks - Roma Tor Vergata, Milano Bicocca
[Il nome collettivo è quello di un blog (ricercasocialnetworks.blogspot.com) in cui alcuni studenti universitari, coordinati da Piero Vereni (Tor Vergata) e Sara Bramani (Bicocca) stanno lavorando proprio sulla metodologia della ricerca etnografica delle identità (individuali e collettive) aggregate online. Dato che il nostro lavoro è intenzionalmente e non solo ritualmente concepito come “di gruppo” firmiamo questo abstract a nome del gruppo stesso. Se il saggio venisse accettato, nella versione definitiva verranno riportati i nomi dei singoli autori identificando i loro specifici contributi.]


La domanda del titolo, formulata da un sessantenne milanese, è stata raccolta durante la fase etnografica di ricerca sul rapporto tra social networks e senso comune, e riflette molto bene i processi di differenziazione sociale ed economica che le nuove tecnologie contribuiscono a produrre.
In questo saggio intendiamo presentare i risultati di ricerca del gruppo “ricercasocialnetworks”, che discute la propria ricerca attraverso un blog collettivo (ricercasocialnetworks.blogspot.com) e che è nato dall’intento primario di fornire una rappresentazione etnograficamente adeguata di quel complesso fenomeno sociale che va sotto l’etichetta “social networks”, analizzando le configurazioni di significato emergenti attraverso l’engagement dei soggetti con questi nuovi strumenti di socialità.
L’intento del gruppo è quello di superare sul piano della documentazione il livello rigidamente rappresentazionale e linguistico delle survey e offrire invece un’analisi anche delle pratiche di consumo effettivo dei social network.
Per questa ragione, una delle modalità di ricerca attuate è stata quella dello shadowing: il rilevatore affiancava per alcuni giorni (mediamente tre) il soggetto nelle sue pratiche di consumo dei media, inscrivendo queste pratiche dentro la storia di vita raccolta all’inizio della ricerca.
Questa metodologia di ricerca è stata in alcuni casi integrata da riprese audio/video che, una volta montate in un “documentario privato” possono essere discusse assieme al soggetto della rilevazione per incrementare, attraverso il suo feedback, la profondità dell’analisi. Allo shadowing si sono abbinate interviste mirate con soggetti specifici (anziani, giovani) su specifici temi (ricostituzioni offline di gruppi online; relazioni personali online/offline), a loro volta oggetto di discussione nel blog del gruppo.
Parte del materiale videoregistrato (shadowing, interviste, discussioni tra membri del gruppo) è stato montato e postato sul blog, a sua volta commentato per iscritto e con videoposts.
L’utilizzo dei mezzi audiovisivi di registrazione sia nella fase etnografica di ricerca, che in quella della trasmissione e della comunicazione delle conoscenze acquisite sul campo, ci ha consentito di analizzare i media da una prospettiva antropologica, attraverso l’utilizzo dei media stessi come strumenti di analisi.
Il quadro complessivo è quello di una metodologia omogenea al soggetto indagato, vale a dire una struttura d’analisi social per indagare i social networks. In questa chiave d’utilizzo, i mezzi audiovisivi di registrazione e il loro uso attraverso canali online sembrano fornire un contributo prezioso nell’impegno analitico di cogliere il rapporto tra le rappresentazioni a livello mediatico (codifica/decodifica) e le pratiche d’uso a livello del senso comune (la costruzione del sé, gli spazi e i tempi dell’immaginario sociale, le forme e i contenuti delle interazioni sociali).